Comunicazioni dei Presidenti

11 aprile 2015

Discorso del Presidente Maurizio Bossi per l’inaugurazione della Giornata di Studio su “Leopoldo Galeotti e la piccola patria”

Grazie al caro amico Romano P. Coppini che ha accettato di presentare il mio saluto. Purtroppo la “prigione ospedaliera” mi ha reso impossibile in questi mesi agire con l’impegno che ero, e sono, tuttora pronto a impiegare per l’Associazione, della quale ho sempre apprezzato la coerenza e la determinazione con cui ha svolto la propria attività lungo le vie aperte dal patrimonio documentario e dall’ideale sismondiano. Le sue iniziative congressuali e editoriali hanno saputo sempre dare senso e vasto respiro al tema del rapporto fra particolare e generale, che accompagna ogni espressione dell’universo di cui fa parte Sismondi.
La figura e l’opera di Leopoldo Galeotti si inseriscono assai opportunamente in tale prospettiva di studio. L’Associazione ha saputo mantenere sempre vivo il fascino del complesso di dilemmi, stili, esperienze che cospargono quell’universo e che, se osservate con criteri di scoperta, e non di mera erudizione, hanno frequenti risonanze spesso inattese nella nostra esperienza attuale con sorprendente freschezza e capacità di stimolo. Questo percorso l’Associazione lo ha consapevolmente seguito ormai da decenni, e il convegno di Galeotti ne manifesta la coerenza e le finalità in modo esemplare.
Complimenti quindi al Comitato scientifico, alla segreteria scientifica, così come ai curatori del volume antologico di scritti di Galeotti. E buon lavoro, cui mi auguro di potermi unire fattivamente il prima possibile.

6 giugno 2014

Discorso del neo-eletto Presidente Maurizio Bossi

I consider myself fortunate to have encountered Sismondi through Giovan Pietro Vieusseux during my time as director of the Centro Romantico by the Gabinetto Vieusseux, because their correspondence provides an introduction to the underlying issues besetting early 19th century Europe – in addressing those issues, both men refer constantly to such themes as trade or travel for personal observation, which they considered to be factors of crucial importance for Europe’s progress – and above all, because Vieusseux’s efforts in establishing and managing the Gabinetto Scientifico Letterario, which was to all intents and purposes a business, place their relationship firmly within a concrete, practical framework.
Moreover, they certainly did not look only at Europe’s positive side or see it only in a positive light. For instance, a pamphlet by Jean-Emile Humbert (probably co-authored by Vieusseux) entitled I Barbareschi e i Cristiani, which Vieusseux published in 1822 and which was intended to sensitise the European powers meeting at the Congress of Verona, takes issue with the European nations’ egotistical divisions, small-minded rivalries and moral pettiness towards the North African world. In a letter addressed to Humbert in 1823, Vieusseux points out that Europe is «unfortunately divided, and absorbed by such greater interests that it ignores barbarity, and the Bey of Algiers is going to have to impale a dozen Christians before it wakes up and takes notice».
This is the overall context in addressing which Vieusseux found in Sismondi a crucial referent, as we can see from Vieusseux’s own Journal-Itinéraire de mon voyage en Europe (1814-1817), edited by Lucia Tonini and published by the Centro Romantico in 1998.
In my capacity as director of the Centro Romantico del Gabinetto Vieusseux, I was also involved in the conception and publication of books addressing the issue from a variety of different standpoints – volumes such as Sismondi e la civiltà toscana (2001, edited by Francesca Sofia); Il Gruppo di Coppet e il viaggio. Liberalismo e conoscenza dell’Europa tra Sette e Ottocento (2006, edited by Maurizio Bossi, Anne Hofmann and François Rosset); Sismondi e la nuova Italia (2011, edited by Letizia Pagliai and Francesca Sofia), and more recently Giovan Pietro Vieusseux. Pensare l’Italia guardando all’Europa (2013, edited by Maurizio Bossi).
So as Europe today still struggles to find its way forward, it is extraordinarily opportune to further the study and dissemination of this arduous and tormented European journey. Relations with the Associazione di Studi Sismondiani in that sense have been, and indeed continue to be, extremely fruitful. For my part, I am particularly grateful to Mirena Bernardini Stanghellini, Jacqueline de Molo Veillon, Francesca Sofia and Letizia Pagliai for their cooperation, at once productive and cordial, over so many years. The role entrusted to me as president of the Associazione di Studi Sismondiani is a great honour for me, and at the same time it prompts me to ensure the furtherance of the Associazione’s work in the context of a scientific and loftily civic continuation of Sismondi studies for all of the reasons listed above.

1° giugno 2010

Discorso del Presidente Aldo G. Ricci per l’inaugurazione del Convegno su “Sismondi e la nuova Italia”

Jean-Charles Léonarde Simonde de Sismondi figura a buon diritto nel pantheon dei padri della nuova Italia, il cui processo di gestazione comincia in parallelo con l’arrivo delle truppe francesi nel nostro Paese, sulla scia delle convulsioni politico-militari seguite alla Rivoluzione francese.

È questa la ragione che, alla vigilia del 150° dell’Unità, spiega l’organizzazione del Convegno internazionale “Sismondi e la nuova Italia” da parte dell’Associazione di studi sismondiani, che si terrà dal 9 all’11 giugno a Pescia (con apertura il 9 mattina a Firenze presso il Gabinetto G.P.Vieusseux e chiusura a Pisa l’11, presso la Facoltà di Economia), con la partecipazione di studiosi italiani e stranieri delle diverse discipline interessate a questa straordinaria figura di intellettuale dell’Ottocento: dalla critica letteraria alla teoria politica, dalla scienza economica alla ricerca storica.

I Sismondi discendevano da una famiglia pisana trapiantata nel Delfinato nel XV secolo, dove  abbracciarono il calvinismo e il loro nome venne francesizzato in Simonde. Dopo la revoca dell’editto di Nantes, dovettero emigrare a Ginevra, dove la famiglia mise profonde radici e il padre esercitò a lungo le funzioni di pastore protestante, riprendendo l’antico nome di Sismondi. Il calvinismo ginevrino e la passione per Rousseau, respirato nella stessa città, influenzarono sempre il giovane Jean-Charles, che proprio a Ginevra portò a termine gli studi classici.

Il padre lo volle commerciante e banchiere, e per questo lo inviò a Lione presso il banchiere Eynard, sperando facesse fortuna e potesse contribuire ad aiutare le declinanti fortune della famiglia. La Rivoluzione francese pose termine all’esperimento e Sismondi dovette tornare a Ginevra nel 1792; ma il clima politico della città era cambiato e i Sismondi, considerati legati all’aristocrazia locale, furono costretti a diciotto mesi di esilio in Inghilterra, che consentirono però al giovane di apprendere la lingua e di studiare l’economia e le istituzioni del Paese.

A metà del 1794 la famiglia decise di tornare a Ginevra, ma vi trovò una situazione politica ancora più incandescente e fu costretta a vendere tutto e cercare rifugio in Toscana, dove il giovane Jean-Charles aveva individuato, vicino a Pescia, nella Val di Nievole, una tenuta a Valchiusa, che venne acquistata e divenne da quel momento il rifugio della famiglia.

La vita di Sismondi è stata ricca di situazioni paradossali e in Toscana si determinò la prima di queste situazioni, tanto più significativa in quanto avrebbe in qualche modo anticipato una contraddittorietà di giudizi su di lui destinata a continuare tutta la vita e oltre. Se a Ginevra i Sismondi erano stati perseguitati come sospetti filo aristocratici, in Toscana i sospetti si ribaltano: la provenienza dalla Ginevra giacobina li dipinge alla polizia locale come dei potenziali rivoluzionari. E così Sismondi conosce per ben due volte, nel 1796 e nel 1799, le prigioni del Granducato.

Il paradosso è evidente ed è un segno dei tempi, tempi di manicheismo e di estremismo: due atteggiamenti che sarebbero sempre stati estranei al giovane Jean-Charles, il quale, forte dell’esperienza maturata in Inghilterra, proprio in quegli anni travagliati, comincia i suoi studi con una sorta di diario scientifico dal titolo Ricerche sulle costituzioni dei popoli liberi, destinato a restare inedito nell’archivio dello scrittore, a Pescia, fino al 1962. La riflessione muove dalla contraddizione vissuta sulla propria pelle tra i princìpi della Rivoluzione e il loro rovesciamento nel dispotismo rivoluzionario.

Gli ideali rousseauiani non scompaiono ma non cercano di realizzarsi attraverso un contratto sociale astratto, quanto piuttosto nella verifica storico-empirica dei risultati, con un equilibrio e un bilanciamento dei poteri, in modo da non mettere mai la minoranza, quale che sia, soggetta all’arbitrio della maggioranza. In questo percorso Sismondi comincia a studiare non solo le costituzioni dei maggiori paesi europei, ma anche quelle delle principali città italiane all’epoca della civiltà comunale, che poi saranno al centro della sua Storia delle repubbliche italiane del medioevo.

Parallelamente, sia per interesse scientifico, sia per esigenze pratiche connesse alla sua nuova condizione di proprietario terriero, Sismondi si interessa all’agricoltura della regione dove la famiglia ha ormai messo radici. Nasce così il Tableau de l’agriculture toscane, pubblicato nel 1801 al momento del ritorno a Ginevra, per assumere importanti funzioni amministrative.  Anche in questa opera c’è un seme destinato a dar frutti maggiori. Sismondi individua nella mezzadria il segreto della prosperità dell’agricoltura toscana e dell’equilibrio tra produzione e consumi: un problema che sarà sempre al centro della sua riflessione, attenta soprattutto agli effetti che le condizioni economiche e la loro evoluzione potevano avere sulla prosperità delle popolazioni.

Al Tableau seguirà due anni dopo la Ricchezza commerciale, una riproposizione dei princìpi al centro dell’opera di Adam Smith, riletti alla luce della situazione determinata in Europa dalla egemonia napoleonica e in forte polemica contro ogni forma di monopolio e di barriera doganale. L’opera gli diede fama europea e, attraverso l’amicizia di Jacques Necker, gli aprì le porte del salotto di madame de Staël nel castello di Coppet , mettendolo in contatto con tutti gli intellettuali che lo frequentavano. Fu un salto di qualità decisivo per il nostro, sia sul piano della maturazione intellettuale, sia su quello dei rapporti personali, che misero progressivamente Sismondi al centro di una delle più vaste reti di relazioni intellettuali e politiche, come testimonia il suo immenso archivio conservato a Pescia, che in questi anni l’Associazione di studi sismondiani ha contribuito a informatizzare e valorizzare.

Seguono i viaggi in Italia e in Germania con Madame de Staël (1804-5, 1808-9) e prende forma nella mente di Sismondi il disegno dell’opera che gli avrebbe dato fama di grande storico: la Storia delle repubbliche italiane del medioevo, ben 16 volumi apparsi tra il 1807 e il 1818. L’opera germina dalle Ricerche e cerca nella dinamica storica delle diverse repubbliche, attraverso Machiavelli, Guicciardini e Muratori, la conferma dei princìpi in esse delineati. Due le idee centrali: la storia come libertà e progresso e la storia come risultato della natura delle istituzioni e della politica dei governi, in cui la centralità delle vicende italiane, assunta come grande tema storiografico, avrebbe acquistato nel tempo anche una valenza politica, contribuendo fortemente alla formazione di una coscienza nazionale in Italia orientata in senso liberale.

Le Repubbliche costituiscono un’opera rivoluzionaria nel senso profondo del termine. Rivoluzionaria per la scelta del soggetto, mai messo al centro di un lavoro così impegnativo e sistematico; e rivoluzionaria per le implicazioni che discendevano dalla tematizzazione delle vicende italiane come vicende nazionali, come tessere di una trama nazionale.

Inoltre le Repubbliche costituivano un atto d’amore e di ammirazione per l’Italia, perché proprio nella libertà delle repubbliche comunali veniva rintracciata la radice delle future libertà europee. L’Italia che per prima aveva insegnato la libertà all’Europa, aveva poi conosciuto il declino a partire dal XVI secolo proprio sotto il tallone di quelle potenze che aveva educato e incivilito. Era un’analisi, ma era anche un programma politico, perché lo stesso Sismondi ne traeva la conclusione che la libertà in Europa non avrebbe mai potuto essere al sicuro finché anche l’Italia non avesse ritrovato la libertà perduta. Ed era un programma talmente chiaro  ai suoi occhi che egli stesso nel 1832 decise di riproporre le Repubbliche in un volume di sintesi, uscito contemporaneamente in Inghilterra e in Francia, proprio per sollecitare i paesi più liberi a non chiudere gli occhi di fronte ai problemi dell’Italia e degli Italiani.

Il messaggio, come si suol dire, era forte e chiaro, anche se gli anni del Risorgimento erano ancora lontani. Ma gli intellettuali e i patrioti alla ricerca di una bussola lo intesero perfettamente, anche se in modi assai diversi tra loro. Da Balbo a Gioberti, da Foscolo a Manzoni, da Mazzini a Cattaneo e Ferrari, dai redattori del «Conciliatore» a quelli dell’«Antologia», senza dimenticare Cavour, Confalonieri, Santarosa, ma l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito, tutti o quasi si accorsero che le Repubbliche costituivano un pilastro importante per le  fondamenta di un progetto nazionale, tanto più significativo, in quanto costruito da uno straniero che si sentiva però italiano per antiche origini e scelta intellettuale.

Chiuso il lungo capitolo delle Repubbliche, Sismondi riprende in mano un breve saggio  sull’economia politica scritto nel 1818  per l’Enciclopedia di Edimburgo e l’anno successivo pubblica l’altra opera destinata a dargli una contraddittoria fama di ‘eretico’ tra gli economisti: i Nouveaux principes d’économie politique. Lo studio era stato redatto alla luce delle crisi commerciali che avevano interessato l’Inghilterra e l’Europa in quegli anni ed era una critica aperta della strada imboccata dagli economisti della “scuola inglese”, che faceva dell’economia politica una scienza autonoma, volta esclusivamente alla crescita quantitativa della produzione, senza considerare i problemi sociali posti dall’introduzione delle macchine e  dalla conseguente crescita della disoccupazione, con inevitabili ricadute in termini di consumi.

L’economia ‘inglese’ veniva definita ‘crematistica’, scienza della ricchezza astratta, mentre l’economia politica, secondo Sismondi, avrebbe dovuto occuparsi della felicità pubblica, ed essere quindi allo stesso tempo scienza di governo e scienza sociale, ma prima di tutto scienza storica: parole fuori dal coro che suscitarono l’interesse dello stesso Marx. Parole che tuttavia, a ben vedere, erano il proseguimento su un altro terreno dello stesso discorso avviato prima con le Ricerche e poi con le Repubbliche.

La libertà, eterno soggetto della ricerca sismondiana, deve essere perseguita nelle istituzioni e nell’economia attraverso l’indagine storica delle forme che ha assunto e di quelle che l’hanno invece repressa e cancellata. Lo sviluppo economico, direbbe Sismondi (e sembra di ascoltare le parole dei ripetuti vertici internazionali di fronte alla crisi di questi mesi),  è tema troppo importante per essere lasciato completamente nelle mani di imprenditori e banchieri. Così come la libertà politica non può essere affidata solo a leggi astratte formulate da teorici che prescindono dai contesti cui le leggi vanno applicate. E questo è il campo della scienza di governo, sintesi anzitutto storica delle esperienze concrete di libertà e di sviluppo economico e culturale.

In questo percorso, caratterizzato da un liberalismo immune da tentazioni o cedimenti demagogici o autoritari, Sismondi trovò un terreno naturale di ricerca nelle repubbliche comunali italiane, nelle quali individuò la culla della rinascita della libertà in Europa, dopo la decadenza succeduta alla caduta dell’Impero romano. Questa scoperta, o invenzione che dir si voglia, aveva conseguenze importanti. Anzitutto riuniva le sparse realtà comunali in un quadro unico, nazionale. Poi ne faceva il modello per il successivo diffondersi delle libertà in Europa. E infine poneva il problema di un rinascimento o di un risorgimento della libertà in Italia come problema cruciale con cui dovevano confrontarsi gli Italiani in primo luogo, ma anche gli europei in quanto tali, perché la libertà era indivisibile per natura.

Questa la lezione di Sismondi: una lezione che i patrioti degli anni successivi, almeno fino alla svolta del 1848-49, ritennero come essenziale nella formazione di una coscienza nazionale italiana. Sismondi quindi come componente essenziale del nostro Risorgimento: una componente largamente rimossa dal dibattito culturale e storiografico degli ultimi anni, secondo un destino che l’accomuna allo stesso Risorgimento, come viene evidenziato crudelmente ma efficacemente dalle iniziative imbarazzate e contraddittorie che si annunciano per gli stanchi, ma inevitabili riti per il 150° dell’Unità.